STORIE
DELL'ALTRO MONDO
Vai alla lettura Di Sergio Mangiameli foto ©Roberta Scicali

Fermata 1928

Stazione di transito celeste. Ognuno fa ripasso delle proprie carognate per scegliersi la vita che si merita, e far ritorno sulla Terra per pareggiare i conti con se stesso. Immaginiamo che Dio racconti una storia a una bambina, che non vuol saperne di andare a dormire. E’ una richiesta fuori dal comune, e lei insiste. Dio non è molto preparato sull’argomento: ha fatto tutto ma gli manca ancora l’esperienza di nonno. Sotto la sua perentoria insistenza, il Signore cede, anche perché la bambina ha da poco finito di vivere e conserva intatti i ricordi di quaggiù.

Voglio raccontata una storia!
Ma non è possibile…
Perché?
Non dovresti nemmeno chiederlo.
Perché!
Lui sospirò e si portò tre dita sul mento, tentando di trovare nella barba qualcosa da utilizzare per mettere fine a quell’inappropriata richiesta. Non poteva nemmeno dirle è ora di dormire!

Davanti a loro, una vetrata gigantesca si affacciava su disegni dimenticati, linee e colori di una bellezza sublime, da rimanere incantati e passarci un tempo lungo quanto una vita. Polveri di luce si univano a estratti di materia in spirali nascenti, filamenti di energia sembravano promettere i pensieri migliori, i disegni migliori.
Ma niente rimaneva fisso. C’era un lento, costante movimento che cambiava continuamente i rapporti, le dimensioni apparenti, distanze, figure. Una danza, sembrava, dentro una musica silenziosa in cui ognuno che si fosse affacciato a osservare, avrebbe potuto ascoltare la propria. Distintamente come fosse stata vera.
Forse era questo, lo scopo della fermata, anche se nessuno chiedeva cosa si dovesse fare – se c’era qualcosa da fare – dietro a quella vetrata sproporzionata. Alcuni rimanevano come imbambolati a fissare la bellezza originale per un tempo indefinitamente lungo. Altri fissavano con serissima attenzione qualcosa che solo loro identificavano. Altri ancora si commuovevano, e c’era sempre qualcuno che faceva scorrere l’acqua dell’anima e si bagnava gli occhi.

Voglio raccontata una storia! Ora!
Le tre dita gli condussero intanto solo pazienza, che era la qualità che più gli abbondava.
Ascolta, non si dice voglio, ma vorrei. Ok, tu sei piccola e so che nonostante questo non hai sonno…
Che c’entra nonostante questo? Si vede che hai poco a che fare con i bambini, tu. Non lo sai che quelli come me non hanno mai sonno, se ti chiedono qualcosa? Se io ho sonno, dormo, non parlo, non ti chiedo niente. E’ semplice, come la domanda che ti faccio da un bel po’.
Perché non fai come gli altri, che stanno zitti e buoni a osservare?
Perché io so tutto, non ho dimenticato nessun profumo, né colore, né suono che ci sono laggiù sulla Terra. Non ho avuto il tempo di dimenticare e questo dovresti saperlo. Secondo me sei diventato troppo vecchio…
Quel povero cristo fece un respiro profondo, socchiuse gli occhi e quando li riaprì disse: va bene.
Le s’illuminò lo sguardo. La musica riprese a suonare dentro, e lei credette di non desiderare altro.
Sono prontissima! – batté le mani, anche se nessuno sentiva i rumori degli altri.
Un momento però. Non è una storia già accaduta, ma una di quelle che potrebbero accadere.
Non m’interessa la cronaca.

Il vecchio aveva un modo di raccontare tutto proprio, usando il suo infinito sapere e il suo potere illimitato per superare la necessità delle parole. Così improvvisò – si fa per dire, perché lui non improvvisa nemmeno il caso –, così improvvisò uno scorrere di sensazioni che la bambina credette di vedere lì davanti a sé, oltre la vetrata esagerata, come una serie di immagini. E siccome non era abituato a trattare con i piccoli, soprattutto con le bambine curiose, mise tutto insieme per l’anno 1928 dando per scontato e sufficiente la capacità di distinguo della bambina.

Caspita! Ma quello è il Polo Nord e quel coso è un… un dirigibile! C’è scritto Italia. Perde quota, sta precipitando! Ma muoiono tutti? Eh?
Il vecchio non fece una mossa e quando la bambina tornò con lo sguardo daccapo sul film, la scena era cambiata. Un laboratorio, un uomo chino su un microscopio che esamina una muffa, indossa un paio di occhiali tondi, un papillon, e sul camice bianco si legge Alexander Fleming.
La bambina si voltò ancora verso di lui, intuendo qualcosa di talmente speciale che il mondo, dopo, non sarebbe stato più lo stesso.
L’immagine si modificò un’altra volta, comparve un disegno in bianco e nero che si muoveva, come fosse animato. Un topo stilizzato che stava in piedi e parlava in americano, presentandosi in mutande eleganti, con scarpe enormi e guanti: Mickey Mouse.
Rise, la bambina, batté d’istinto le mani e fece un piccolo salto.
Il vecchio riprese il pensiero che un attimo prima aveva letto nella testa di lei, e lo fece proprio: il mondo degli uomini non sarebbe stato più lo stesso, dopo Topolino, il personaggio di fantasia più famoso della storia.
Se la bambina stavolta si fosse girata, avrebbe visto tra la barba un sorriso immortale.

Invece lei incollò gli occhi sulla cosa successiva: una fessura aperta sul fianco elevato di un vulcano a due passi dal mare, e una colata di lava che viene giù. Vede quasi subito muoversi una cordata di uomini con in testa uno di loro in abito lungo e nero, che tiene in mano qualcosa che sa di sacro moltiplicato tre. Le reliquie dei santi Alfio, Filadelfo e Cirino. Gli uomini camminano in salita, poi si fermano di fronte alla terra che avanza, e pregano.
La bambina si gira seria, con lo sguardo interrogativo.
Il vecchio allarga le braccia e chiude gli occhi. Nessuno dei due dice una parola.
Per una sorta di coincidenza, la lava si ferma e gli uomini tornano dalle loro donne, con l’aria di vittoria e di una certa potenza conclamata dei tre santi di casa. Ma il vulcano si apre daccapo, più oltre, più in basso e inizia a scorrere un’altra colata che punta dritto verso il mare, incanalandosi semplicemente dove le viene più facile. Un’altra cordata di uomini di un altro paese si muove verso la terra nuova che avanza e che seppellisce quella vecchia. L’uomo vestito di nero al comando porta avanti un solo santo, Leonardo, nel giorno esatto del suo festeggiamento. L’uomo non molla e prega più a lungo e più forte, dice che la terra si fermerà e il paese sarà salvo. Ma la storia qui è diversa. La colata investe il paese costruito semplicemente in un posto sbagliato, per sconoscenza scientifica.
Si vede la fuga tardiva e sgomenta di tutti, grandi e piccoli, sui carri, le case che scompaiono con le porte aperte e le tovaglie sulle tavole, e la chiesa circondata con tutti i suoi preziosi dentro. E sensazioni di voci di protesta contro il cielo che soppesa le richieste, dando riscontro a chi porta più santi consensi.
Non è mica una giunta comunale, il cielo! – sbottò il vecchio. Scusa, ma lo sapevo che qualcuno laggiù avrebbe detto una stupidaggine del genere…
La bambina non si soffermò più di tanto su quelle sensazioni di voci di umana disperazione, prese la mano del vecchio e con voce calma gli indicò l’immagine successiva, stupenda: la ricostruzione collettiva, la voglia di esserci insieme e ancora, il paese nuovo a un passo e mezzo dal mare. Su tutto, l’urgenza di ricominciare uniti guardando con fiducia il 1929.

Ho deciso.
Cosa?
Ho deciso di ritornare a vivere proprio lì in quel paese nuovo, che si chiama Mascali, e sai che ti dico? Farò la professoressa di scienze!
Contenta tu…
Ma che fai? Sbrigati. Adesso voglio andarci, ora, prima che passi il 1928, che è un anno strepitoso! Lo sapevi che nel ’28 c’è la prima gara femminile di atletica leggera riconosciuta alle Olimpiadi? – lo disse velocemente, come fanno i bambini, senza pensare al fatto che Lui sa tutto.
Lui sospirò e guardandola negli occhi sicuri e curiosi, propri da professoressa di scienze, la mise alla prova: “Ma è un anno bisestile, il 1928”.
Non mi dire che anche tu credi a queste stupidaggini…
Il vecchio sorrise, anzi di più: rise in un modo inimitabile, irraggiungibile. Sembrò che fosse l’universo ad allargarsi in una risata silenziosa, che toccò ovunque stelle e anime, spargendo quell’energia inspiegabile che serve per continuare.

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Sergio Mangiameli è del ’64, geologo, giornalista pubblicista, interprete naturalistico, vive sull’Etna. Ha pubblicato i racconti “Dall’ulivo alla luna” (Prova d’Autore, 1996) e “Rua di Mezzo sessantasei” (Il Filo, 2008), i romanzi “Aspettando la prima neve” (Rune, 2009), “Dietro a una piuma bianca” (Puntoacapo, 2010), “Sul bordo” (Puntoacapo, 2013), “Come la terra” (Villaggio Maori, 2015, che ha partecipato a MontagnaLibri 2016 del Trento Film Festival), “Quasi inverno” (A&B Editrice, 2018), "La nevicata perfetta" (A&B Editrice, 2020). Ha scritto i testi di “MicroNaturArt – voci dal microcosmo” (Arianna, 2014), esperimento letterario di fotografia scientifica; i racconti di “Ventiquattr’ore – fotografie di finestre e parole intorno” (Puntoacapo, 2016), i cui scatti sono di Lino Cirrincione; e, assieme al vulcanologo Salvo Caffo, “Etna patrimonio dell’umanità, manuale raccontato di vulcanologia e itinerari” (Giuseppe Maimone Editore, 2016), con le illustrazioni di Riccardo La Spina. Ha scritto i testi dei film corti “La corsa mia” e “Idda”, e i monologhi “Questa storia” e “Il gioco infinito”, visibili entrambi su YouTube. Sul portale web Etnalife, scrive racconti etnei per la rubrica letteraria “Storie dell’altro mondo”. “La piuma bianca” è il suo blog sul magazine online SicilyMag. L’esperimento nuovo è “Le colate raccontate” – vulcanologia storica dell’Etna e narrativa surreale insieme, tra esattezza scientifica e finzione letteraria in racconti –, portato in scena col vulcanologo Stefano Branca.
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