Gas pulse, rock fracturing e sloshing. Sono i processi che influenzano la presenza del gas Radon rilevato dalla stazione di monitoraggio situata in prossimità della cima dell’Etna e che aiutano a comprendere come funziona il vulcano. Lo studio, firmato INGV, è stato pubblicato su Geochemistry, Geophysics, Geosystems dell’American Geophysical Union
Il gas Radon funziona come tracciante dell’attività eruttiva e in qualche caso anche tettonica. A dimostrarlo uno studio condotto dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) sezione di Catania-Osservatorio Etneo, appena pubblicato su Geochemistry, Geophysics, Geosystems dell’American Geophysical Union.
L’Etna è uno dei vulcani più attivi al mondo. Erutta con frequenza elevata, soprattutto nel corso degli ultimi decenni, e cambia aspetto con rapidità. Essendo un vulcano in larga parte antropizzato, il suo monitoraggio ha un’alta valenza sociale. La fitta rete di strade facilmente percorribili fino alle quote più elevate, consente di accedere alla sommità in tempi brevi. E’ anche per questo che l’Etna rappresenta un formidabile laboratorio naturale a cielo aperto, dove gli scienziati possono installare e testare reti di strumenti di monitoraggio e sorveglianza sempre più fitte, sofisticate ed efficienti.
Negli ultimi anni, all’Etna si analizza anche il gas Radon. Un gas radioattivo naturale che proviene dal sottosuolo, da alcuni considerato un precursore di terremoti, anche se con molti distinguo, dubbi e scetticismi da parte della comunità scientifica.
“Il Radon all’Etna funziona come tracciante dell’attività eruttiva e, in qualche caso, anche di quella tettonica” spiega Marco Neri, primo ricercatore dell’INGV-Osservatorio Etneo (INGV-OE).
Ma, per capire davvero i fenomeni tettonici, occorre confrontare il Radon con i molti altri dati che sono giornalmente prodotti dalle reti strumentali dell’INGV-OE, potenziate in circa quarant’anni di attività di monitoraggio e sorveglianza.
“È stato analizzato un periodo di attività vulcanica dell’Etna vivace e varia, compreso tra gennaio 2008 e luglio 2009. Diciannove mesi nei quali il vulcano ha prodotto alcuni sciami sismici, fratturazioni superficiali del suolo, una vigorosa fontana di lava e, infine, una lunga eruzione durata ben 419 giorni”, prosegue Susanna Falsaperla, primo ricercatore dell’INGV-OE e primo autore della pubblicazione.
Abbastanza per mettere alla prova la significatività del Radon rilevato da una stazione situata in prossimità della cima dell’Etna, a circa 3000 metri di quota, in una località un tempo nota col nome di “Torre del Filosofo” e ora sepolta sotto metri e metri di colate laviche che dal 2013 a oggi hanno completamente mutato la fisionomia di quei luoghi.
“Si è scoperto che il Radon di quella stazione di monitoraggio è influenzato essenzialmente da due processi: il primo, è legato alla risalita dei magmi nel condotto centrale del vulcano. Questo processo avviene attraverso “pulsazioni” di gas, cioè incrementi del Radon brevi e intensi, che gli studiosi definiscono, in lingua inglese, gas pulse. Il secondo è indotto dalla fratturazione della roccia (rock fracturing), quando la stessa roccia si rompe a causa di un terremoto o di uno sciame sismico”, prosegue Neri.
I risultati dello studio hanno inoltre evidenziato che la sonda Radon è “sensibile” perfino a terremoti di entità relativamente piccola e che avvengono a parecchi chilometri di distanza da essa. Ciò può essere spiegato attraverso un fenomeno che gli inglesi chiamano sloshing, e che significa letteralmente “sciabordare”.
“Lo scuotimento della roccia, indotto da uno sciame sismico”, afferma Falsaperla, “può provocare un movimento oscillatorio nella falda freatica e nei fluidi magmatici contenuti all’interno del vulcano, i cui effetti si possono irradiare, quindi, ad una distanza ben maggiore di quanto comunemente immaginato”.
L’Etna è perennemente in un equilibrio precario: anche un fenomeno piccolo che accade, ad esempio, sul fianco nord dell’Etna, può fare sentire i suoi effetti sul versante opposto. Quasi come un “effetto farfalla”.