“A grandi linee, la Sicilia è ubicata in corrispondenza dello scontro tra la placca africana e quella euroasiatica, ciò spiega l’elevata sismicità dell’area che in passato è stata causa di terremoti distruttivi: nel 1693 (54.000 vittime), nel 1908, nel 1968 e nel dicembre 1990”.
Lo afferma Fabio Tortorici, Presidente della Fondazione Centro Studi CNG in merito alla forte scossa di terremoto di magnitudo 4.6 che si è registrata il 6 ottobre alle 2:34 con epicentro a Santa Maria di Licodia, in provincia di Catania, a una profondità di nove chilometri.
Il sisma può essere collegato a una ripresa dell’attività eruttiva dell’Etna? “La raccolta di dati geofisici in atto, – risponde Tortorici – ci permetterà di stabilire se l’evento, nella notte tra venerdì e sabato, è un terremoto di natura tettonica o vulcanica e quali sono stati i meccanismi di rottura che lo hanno generato e soprattutto se si stanno verificando fenomeni di ricarica delle tensioni vulcaniche. Per ora, è certo che il sisma non è scaturito direttamente dall’interno del principale condotto vulcanico. I geologi dell’INGV a breve verificheranno se il terremoto è collegato al movimento di masse magmatiche periferiche. In ogni caso, nell’area etnea si è sempre delineata una complessa interazione tra le strutture crostali tettoniche e la struttura del vulcano”.
Ci saranno altre scosse di assestamento? Il Presidente della Fondazione Centro Studi, CNG: “Al momento si sono verificate poco più di una decina di scosse dopo l’evento principale, tutte di bassissima magnitudo, in armonia con quella che è la sismicità strumentale negli ultimi decenni nell’area etnea, in cui i terremoti avvengono nella zona sommitale e nei fianchi del vulcano. Storicamente e statisticamente, – continua il geologo siciliano – la sismicità dell’area epicentrale del terremoto di Santa Maria di Licodia, non ha mai espresso eventi di magnitudo elevata, ma come è risaputo è impossibile prevedere i terremoti, pertanto nessuna previsione è possibile”. Sulle condizioni in cui si trovano le abitazioni della provincia catanese, Tortorici evidenzia come “Il patrimonio edilizio nel comprensorio etneo è abbastanza vetusto, con oltre il 60 per cento di costruzioni realizzate prima dell’entrata in vigore delle norme antisismiche, pertanto presenta un elevato grado di vulnerabilità. Inoltre, in caso di emergenza, non tutti i comuni alle falde del vulcano sono dotati di evoluti e aggiornati piani di emergenza, di evacuazione e di protezione civile”.
Sull’estrema vulnerabilità del territorio siciliano si esprime anche Antonio Alba, consigliere agrigentino del Consiglio Nazionale dei Geologi: “La scossa, sebbene di entità contenuta, ha provocato danni al patrimonio architettonico dell’isola, con il crollo dei cornicioni della chiesa di Santa Maria di Licodia e del Palazzo Ardizzone, ex sede del municipio”. “La grande vulnerabilità del nostro patrimonio artistico e culturale, che in Sicilia come nel resto d’Italia costituisce il simbolo dell’Italia nel mondo – prosegue Alba – impone interventi governativi mirati e programmatici, riferiti sia all’esposizione al rischio sismico sia al dissesto idrogeologico. L’assenza di geologi nelle sovrintendenze e nello stesso MIBACT testimonia la poca sensibilità e oculatezza che la politica ha riservato al territorio negli ultimi decenni. Ci auspichiamo – conclude il geologo – che nei prossimi provvedimenti legislativi sia tenuta in giusta considerazione la conoscenza geologica puntuale del territorio per giungere finalmente a una completa consapevolezza del fatto che la prevenzione è l’unica via”.