A Bronte, sul versante Ovest dell’Etna, presso il Rifugio “Piano dei Grilli”, l’Associazione ambientalista “Etna e Dintorni” ha accolto la mostra itinerante di erbario: Herbis Virtute – “Piante selvatiche dell’Etna”, che è stata aperta al pubblico nello scorso week end del 24 e 25 agosto 2019.
La fito–mostra, in tour in vari comuni della Sicilia già dal 2012, è frutto del meticoloso e appassionato lavoro di ricerca, di identificazione e di preparazione della naturalista ed etnobotanica dottoressa Elisa Coppola. Si compone di dodici famiglie appartenenti alla flora sicula, con oltre trenta esemplari di Angiosperme e Gimnosperme. L’etnobotanica E. Coppola, attraverso la sua esposizione di piante, oltre che il mero lavoro scientifico sulla identificazione, desidera puntare i riflettori anche sugli usi popolari di alcune specie selvatiche, tra le più diffuse, che allignano sui suoli etnei – annoverati tra i più fertili d’Europa – che ci “raccontano” di un vissuto sano e genuino di una comunità etnea fatta di contadini e di massaie che vivevano a stretto contatto di gomito quotidianamente con le piante, dalle quali era possibile ottenere la materia prima per soddisfare i fabbisogni quotidiani di un’intera famiglia.
Tra gli usi popolari più diffusi, per esempio, le piante selvatiche commestibili hanno avuto un ruolo predominante nei periodi durante i dopoguerra, un efficace mezzo di sopravvivenza sia per gli uomini che per gli animali di allevamento. Ritroviamo piante spontanee utili nell’agricoltura, nella veterinaria popolare, nell’artigianato popolare, nella pesca, nella preparazione di giocattoli vegetali. Ma tutto ciò alla comunità etnea sembrava non bastare. Esse, infatti, per lunghi anni sono state considerate una vera panacea che guarisce da tutti i mali, così da essere ricercate anche per i poteri speciali, soprannaturali di cui si credeva fossero dotate. Questi antichi saperi erano in prevalenza di dominio dei più anziani, i quali si avvalevano spesso della conoscenza di antiche formule “magiche” (giaculatorie, scongiuri vari), messe in pratica attraverso particolari riti scaramantici, per ottenere, in alcuni casi, la guarigione da malattie del corpo come, per esempio, curare il mal di testa e i dolori articolari, risanare le ferite, far allontanare i vermi intestinali dai bambini (elmintiasi), per trarre sollievo dalle punture di insetti e di piante urticanti; per predire il futuro delle annate dei seminativi (frumento, orzo, mais) e di altri coltivi (vite, ulivo) che si auspicava, fosse sempre ricca e abbondante: finanche per scacciare i demoni e il malocchio dalle case e dalla persona.
Le piante selvatiche dell’Etna sono parte di un patrimonio storico–culturale che appartiene a un passato quasi dimenticato, la cui valenza etno–antropologica riflette le tradizioni popolari della comunità etnea alle quali essa risulta particolarmente radicata, divenute nella notte dei tempi oggetto di miti, di leggende e di credenze popolari, frutto della fantasia dell’uomo.
Incuriosita da un grande proliferare di testimonianze da parte di informatori del comprensorio etneo (e oltre), sull’uso scaramantico di alcune specie, la dottoressa Coppola ha indagato sull’argomento e in occasione della sua mostra a Piano dei Grilli, ha discusso il tema seguente: “Piante selvatiche dell’Etna: miti, leggende e credenze popolari”. Svariate specie presenti in erbario, per citare alcune: l’Erba di S. Giovanni, Hypericum perforatum L., in gergo “Piricò”, una pianta selvatica sulle cui foglie e sui petali sono presenti numerosi organi ghiandolari che elaborano alcune sostanze oleose dalle proprietà medicinali. Tra le sostanza: flavonoidi (iperoside, iperforina, ipericina, pseudoipericina e melatonina). Nella medicina popolare la pianta trova impieghi officinali, per uso esterno, come antinfiammatorio, cicatrizzante, lenitivo per le scottature e per le punture di insetti. Per risolvere i succitati problemi, bisogna preparare un macerato con olio extravergine di oliva addizionato ai fiori freschi della pianta, come tradizione popolare vuole, il giorno della festività di S. Giovanni, cioè, il 24 giugno.
Un’altra specie da medicamento è l’Assenzio arbustivo, Artemisia arborescens L., in gergo conosciuta col nome “Erba janca” per la colorazione biancastra del suo fogliame. L’impiastro delle foglie fresche è impiegato, per uso esterno, sul viso, per l’eliminazione dei brufoli o per dar sollievo dalle scottature di lieve entità e per trovare sollievo dalle punture di insetti.
Anche la Nepitella, Calaminta nepeta L., nota come “Nipitedda”, oltre che essere utilizzata come aromatica in cucina, si presta come medicamento d’occasione, anche per cicatrizzare le ferite superficiali.
La relatrice, ha sottolineato come l’uso scaramantico e di primo soccorso che la massaia e il contadino riconoscevano in passato ad alcune piante, esuli dal rigore scientifico della botanica e ancor più, nel caso nostro, della farmacognosia, è piuttosto da ricercare nella sana e genuina esperienza dei più anziani i quali trasferivano ai posteri i loro saperi.
La fitonimia dei nomi vernacoli assegnati dai contadini alle piante, quale oggetto della relazione in questione, è assai sobria e variegata e si può ricercare all’uso mirato di questa o di quell’altra pianta, ritenuta necessaria per risolvere alcuni problemi di salute.
Secondo la “teoria delle segnature” seguita da egiziani, cinesi, indiani, alchimisti medievali, fino alla teoria della segnatura di Paracelso, in riferimento alla morfologia di alcune parti di una specie in particolare (foglia, fiore), vi era un’evidente rassomiglianza con alcuni organi del corpo umano, per esempio, cuore, fegato, occhio, rene e altre associazioni ancora e che in virtù di ciò, fosse un’indicazione, un messaggio “mistico”, empirico, che il mondo vegetale volesse trasmettere all’uomo attraverso l’utilizzo di alcune parti di piante che potessero assicurare dei benefici per la guarigione.
I ricercatori di Etnobotanica etnea tentano di implementare e proseguire gli studi di questo grande ma fragile patrimonio culturale, fatto di antiche tradizioni popolari della nostra Isola, attraverso interviste dirette ai locali più anziani, affinché tali informazioni, di certo originali, vengano custodite e riscoperte per trovare efficaci sussidi alla farmacognosia moderna.
Al termine della relazione, il pubblico partecipante si è mosso in un trekking sul far della sera, per godere del paesaggio tipico etneo, con le interessanti spiegazioni dell’esperta guida dottor Marco Prestipino e della stessa Elisa Coppola, gratificati dalla frescura di quota 1.200 metri e di un gustoso menu preparato egregiamente con le mani del dottor Antonio Mirulla, Presidente di “Etna e Dintorni”. Una commistio di antichi saperi, dunque, che coinvolge anche gli aspetti più intricati dell’essere umano, che si prosta e interpella in divenire il cielo notturno, per poter seminare e seminare bene la sua terra.
Un accorato ringraziamento ai partecipanti all’evento, alla “Associazione Olistica Etnea”, all’Associazione “ViviSimeto” e non ultimo a “Etna e Dintorni” per la cortese ospitalità.