Applicando una nuova tecnica di imaging gli scienziati hanno ricostruito le strutture e i processi profondi del vulcano campano
Analizzando il “rumore” acquisito dalle stazioni sismiche in superficie si è giunti ad una migliore interpretazione dei processi vulcanici che interessano i Campi Flegrei.
Questo risultato si è raggiunto utilizzando una nuova tecnica di imaging messa a punto da un team internazionale di ricercatori dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV-OV) e della Johannes Gutenberg University di Magonza (Germania). Lo studio Fluid migrations and volcanic earthquakes from depolarized ambient noise è stato appena pubblicato sulla rivista ‘Nature: Communications’.
“I fluidi profondi”, spiega Simona Petrosino, ricercatrice INGV, “possono indurre terremoti e per comprendere meglio i loro processi di migrazione il team di studio ha messo a punto un nuovo metodo applicato ai Campi Flegrei. Questa tecnica ha permesso di “seguire” i fluidi impiegando diversi intervalli temporali (da poche ore ad anni) di registrazioni del rumore sismico”.
I ricercatori hanno utilizzato il “disturbo” che questi processi causano sul rumore generato dagli oceani e dall’attività atmosferica, continuamente registrato in ambienti vulcanici.
“Mare e vento”, aggiunge la ricercatrice, “interagiscono costantemente con la caldera, producendo onde che scandagliano le sue profondità. Le strutture della caldera sono sottoposte a forti pressioni laterali causate dall’estensione della crosta, dalla pressione del magma in profondità e dalla complessa interazione tra i fluidi prodotti dal magma, dalle piogge e dalle fratture superficiali del vulcano”.
“Le onde di rumore che penetrano nella caldera”, continua Petrosino, “cambiano direzione quando vengono registrate sopra le faglie e sopra i sistemi di alimentazione del vulcano. Con la nostra ricerca abbiamo dimostrato che mentre il cambiamento di direzione è importante per ricostruire le strutture del vulcano, la perdita di qualunque direzionalità è un segnale della loro attivazione. Il rilascio di energia, infatti, è seguito da una migrazione di fluidi che producono ulteriori sorgenti di rumore, corrompendo la nostra capacità di ricostruire direzionalità. Proprio la mancanza di direzionalità ci permette di tracciare le migrazioni prima che i fluidi arrivino in superficie”.
I ricercatori hanno analizzato i dati del rumore registrati nell’ultimo decennio osservando una perdita di direzionalità a partire dal 2018, quando fluidi profondi hanno raggiunto il sistema idrotermale superficiale. Queste migrazioni, secondo gli autori, sono state la probabile causa dei terremoti che hanno colpito la caldera dalla fine del 2019.
“Abbiamo creato un modello del rumore registrato e mappato nel tempo”, aggiunge il professor Luca De Siena della Johannes Gutenberg University di Magonza. “Grazie all’aiuto di TeMaS, il consorzio finanziato dal Ministero di Scienza e Salute della regione Reno-Palatinato per trovare aree ad alto potenziale di ricerca, è stato messo a punto un modello computerizzato del vulcano all’interno del quale abbiamo fatto propagare “onde di rumore sintetico” generate nel mezzo del mare Tirreno. Questo modello propagativo, combinato con l’enorme mole di conoscenza accumulata dalla comunità internazionale, ci ha permesso di interpretare quantitativamente la perdita di direzionalità spaziale nel tempo”.
“Il vulcano”, prosegue De Siena, “scarica stress attraverso migrazioni di fluidi che seguono percorsi che sono stati aperti durante l’intensa attività negli anni 1983-84. La migrazione di fluidi profondi, quando unita a piogge che rendono la parte superficiale del vulcano più permeabile, produce forte sismicità, come quella registrata nel 2019-20. Con le nostre immagini nel tempo siamo in grado di vedere la progressiva migrazione di fluidi verso la parte est della caldera, la cui struttura sostiene una buona parte dello stress vulcanico e che agisce da barriera per l’ulteriore migrazione di fluidi verso est”.
“I cambiamenti nelle mappe temporali”, conclude il professore, “illustrano l’incremento di stress prima dei terremoti e il suo successivo rilascio, concomitante con ulteriori migrazioni di fluidi. Questo quadro coincide con lo spostamento dell’attività del vulcano verso est, osservato negli ultimi decenni”.
Un contributo che potrà essere utile in futuro per affinare gli strumenti di previsione e prevenzione di protezione civile ma che al momento non ha alcuna implicazione diretta su misure che riguardano la sicurezza della popolazione.
La struttura di trasferimento (Transfer Structure, pannello a, colori scuri e linea tratteggiata nera) visibile in anni di scarsa attività sismica (2009 e 2017) si apre a partire dal 2018 (pannello b) permettendo a fluidi profondi di penetrare nel sistema idrotermale della caldera (colori chiari). Questi fluidi sono migrati ad ovest ed est della struttura di trasferimento subito prima della sequenza sismica del 2019-2020, avvenuta nella porzione est della caldera (pannello c). Dopo la sequenza, i fluidi sono visibili ad est (pannello d), dove intersecano le faglie estensionali che regolano lo stress alla caldera.
Il bacino idrotermale profondo localizzato nella porzione centrale della caldera e ricostruito nel periodo 2011-13 come un’anomalia a bassa velocità sismica (colori chiari, delimitato dalla curva bianca tratteggiata). Lo studio conclude che questo bacino si è espanso negli anni seguenti, incrementando la pressione laterale e diventando una concausa della sequenza sismica del 2019-20.
Da sinistra a destra: incremento della polarizzazione del rumore (colori scuri) prima del terremoto del 6 dicembre 2019 ai Campi Flegrei (localizzato in corrispondenza del numero 1 cerchiato in bianco). Il terremoto è seguito da migrazioni di fluidi verso le faglie estensionali ad est. Le stesse migrazioni sono visibili nei giorni seguenti il secondo terremoto, del 26 aprile 2020 (numero 2).