Intervista al Presidente del Parco dell’Etna, che replica alle accuse e illustra il modello da incentivare per creare economia con i prodotti tipici, la cultura ed il turismo
Il Monastero di San Nicolò l’Arena sull’Etna è un austero complesso monastico, sorto nel Medioevo a ottocento metri d’altezza sulle pendici del Monte San Nicola, che testimonia l’antica presenza benedettina nell’area catanese. L’abbazia visse momenti di grande magnificenza, che ebbero l’acme nella frequentazione della Regina Eleonora d’Angiò, alternati a periodi di decadimento sotto la minaccia di lave e briganti, sino alla caduta nell’oblio dal quale venne fuori grazie ad un opportuno restauro e, nel 2005, alla riapertura come sede istituzionale del Parco dell’Etna. Ad osservarlo, a diversi secoli dalla sua edificazione, continua a mantenere un aspetto nobile e imponente che ricorda una struttura fortificata, dalle mura spesse e invalicabili. E, per certi versi, fortino continua ad esserlo ancora oggi che è sede della più importante area protetta siciliana, l’unica in Sicilia con il territorio inserito nella World Heritage List, la Lista Patrimonio dell’Umanità UNESCO, guidata da poco meno di due anni da Marisa Mazzaglia, docente e avvocato, ma anche giornalista pubblicista con una esperienza di assessore al turismo al comune di Nicolosi.
Fortino, dicevamo, contro cui spesso si concentra un tiro a palle incatenate da parte di una pletora di critici, anche di idee divergenti, che ritiene l’attività del parco inadeguata a fornire le risposte che il territorio attende, addebitando all’ente gestore colpe che, ad onor del vero, a volte non ha. Ma lei, la presidente, ostentando una forte serenità, oppone alle critiche le sue ragioni non nascondendo i problemi, anche annosi, che pendono sul Parco dell’Etna, sottolineando l’insufficienza delle risorse ed il limite delle competenze, ma anche il percorso positivo sin qui compiuto. Abbiamo incontrato Marisa Mazzaglia nel suo ufficio, al primo piano dell’ex Monastero, in quella stanza che fu dell’abate, ed abbiamo discusso, in tutta franchezza, delle questioni di stretta attualità che riguardano il parco, ma anche della prospettiva dell’area protetta e, soprattutto, di quel che appare la questione delle questioni, ovvero la capacità di rendere il Parco, e la straordinaria occasione UNESCO, il mezzo per creare l’atteso sviluppo nel territorio.
D. Presidente, proviamo a tracciare un bilancio di questi due anni, o poco meno, alla guida del parco, il cui inizio ha, in pratica, coinciso con una straordinaria opportunità per l’Etna: l’inserimento nella World Heritage List, la Lista dei Beni Patrimonio dell’Umanità.
R. Per me è un onore grandissimo guidare il Parco dell’Etna. Il bilancio lo traccio proprio a partire da questo elemento che è un elemento sentimentale. È un onore e un grande privilegio guidare un ente che si occupa del territorio che si ama. Cambia totalmente la prospettiva nella quale si svolgono le attività, in quanto si sa di agire non soltanto per un obiettivo giusto o astratto, ma per un obiettivo che può cambiare la propria prospettiva di vita all’interno di una società e di un territorio che è stato riconosciuto unico dall’UNESCO. Il bilancio parte da questa consapevolezza e da questo privilegio, ma anche dalla sfida, acuita dall’ingresso fra i siti patrimonio dell’umanità, avvenuto grazie ad un lavoro avviato da chi mi ha preceduto e istituito benissimo dallo staff interno del parco, che ha preparato un documento di candidatura e che è stato un valido supporto al riconoscimento.
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L’inserimento fra i siti Unesco è di certo motivo d’orgoglio, ma non è il punto di arrivo, bensì il punto di partenza. L’impresa ardua è stata certamente quella di ottenere la medaglia, però la medaglia si deve mantenere, anche perché l’UNESCO vigila e richiede il raggiungimento ed il mantenimento di certi standard. Recentemente il Parco dell’Etna ha superato un esame a pieni voti, poiché è stato giudicato dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura “fra i siti meglio protetti e con migliori prospettive”. Qual è il rapporto fra parco e UNESCO e quali sono i suggerimenti, o le critiche, che giungono da questo organismo?
Abbiamo apprezzato il fatto che l’organizzazione UNESCO non si limiti a concedere soltanto il riconoscimento, ma accompagni il sito con una serie di valutazioni che non sono critiche, né reprimende. Si tratta di un normale percorso che consiste in inviti, esortazioni, indicazioni da parte di chi ha una visione mondiale e che suggerisce quei punti che andrebbero migliorati.
Per l’Etna le criticità sono date dall’incertezza dei fondi su cui l’ente gestore, ovvero il parco, può contare per favorire le strategie di promozione e per migliorare il sito stesso e le modalità di fruizione dell’area. L’UNESCO ci ha pure invitato a intraprendere un percorso che conduca alla realizzazione della riserva della biosfera. Ci dicono, insomma, che il modello del parco deve essere esteso ad un territorio circostante più ampio.
Il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio, Molise, è un modello per tutte le aree protette italiane. Nelle cittadine dell’Etna, invece, il parco non è ancora benvisto. Si può immaginare un Parco dell’Etna più somigliante al Parco d’Abruzzo?
Con le dovute proporzioni, io ritengo di sì. Il riferimento è bellissimo con il Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise perché è il modello per i parchi italiani, un modello che ha fatto la storia dell’ambientalismo italiano e a cui dobbiamo tendere. In quel territorio vi è un sentimento di appartenenza che deve essere uno degli obiettivi da perseguire quando si istituiscono gli enti parco. Bisogna costruire una identità comune nelle popolazioni dei territori; ovviamente in Abruzzo è un cammino maturato nel tempo, visto che ha cento anni di vita. Io credo che questo percorso stia maturando anche da noi: non siamo fermi a 28 anni fa, quando il Parco dell’Etna è stato istituito. Seppur faticosamente, fra difficoltà e ostacoli, il percorso è avviato e sta proseguendo con il riconoscimento UNESCO e con la sensibilità ambientale.
Come si fa a produrre economia nel parco? Come si fa a trasformare il parco nel volano per lo sviluppo del territorio e, dunque, dei prodotti tipici, del turismo, della cultura?
È la vera sfida, in quanto non è sufficiente costruire soltanto l’identità. È quel che ci si aspettava inizialmente, forse anche equivocando il significato del parco. Ci si attendeva che contribuisse a creare lo sviluppo, anche se la lettura della legge istitutiva avrebbe dissipato l’equivoco. I parchi nascono in Sicilia con un solo termine che è conservazione. Il cammino si concretizza nella legge di riforma delle aree protette in Sicilia, nella quale, per la prima volta, e secondo me in maniera condivisibile, viene inserito non solo il concetto della conservazione, che è un concetto sacro, direi il primo comandamento, ma viene inserito anche il comandamento successivo che è quello di contribuire allo sviluppo sociale, economico e culturale delle popolazioni del territorio, nel quale le prospettive di sviluppo sono legate al turismo e ai prodotti di qualità.
Ciò va fatto creando l’identità, ma creando pure un brand unico riconoscibile e spendibile a livello mondiale, e sviluppando una sinergia fra i prodotti e le popolazioni per una collocazione sul mercato turistico. Il percorso è quello di incentivare il brand, farlo utilizzare ai produttori del territorio, qualificare e certificare i prodotti che vengono dal Parco dell’Etna perché solo presentandoci in maniera credibile sul mercato riusciremo ad averne un beneficio sotto l’aspetto economico. Stiamo provando a farlo con il “Biodistretto dell’Etna”, con i progetti che costituiscono la linea di indirizzo con cui ci presentiamo ad “Expo 2015” che ha come tema “Nutrire il pianeta”. Dobbiamo essere presenti come idea di sviluppo che deve, poi, contagiare tutto il territorio, valorizzare le biodiversità, le produzioni di qualità tipiche dei territori ed esporle al mondo tutelando chi le realizza. Solo così riusciremo a convertire questa qualità in economia.
Chi deve fare materialmente tutto ciò? È l’ente da lei presieduto che deve favorire questo percorso?
Non esiste un soggetto che, con una bacchetta magica, è in grado di modificare lo stato delle cose. È un percorso da costruire. Il parco si è fatto promotore di incontri che mettono insieme agricoltori, associazioni di volontariato ambientale, operatori turistici e di servizi nel territorio, guide.
“Biodistretto” e “Foresta Modello” sono i due sistemi con cui stiamo tentando di attuare questi contenuti. Ma sono due sistemi che vedono, al loro interno, centinaia di operatori, dal singolo contadino che si occupa del suo piccolo appezzamento di terreno, al grande produttore che si avvicina soprattutto nel settore vitivinicolo; e poi quanti si occupano delle produzioni di qualità che beneficiano di vari riconoscimenti. Sull’Etna vi sono sette produzioni riconosciute come DOC o IGP, a cui si sommano le produzioni De.c.o., i presidi slow food, i prodotti premiati sui mercati mondiali, l’Olio, il Ficodindia, le Fragole di Maletto, la Provola sfoglia di Randazzo. Il parco ha il compito di incentivare e di dare l’avvio, ma non si può immaginare che faccia tutto da solo.
È ipotizzabile introdurre un ticket da far pagare a chi visita il territorio, sugli hotel, sulle visite in vetta o su altro ancora, per cercare di incrementare le risorse finanziarie a disposizione?
In un sistema di turismo maturo anche i turisti contribuiscono, e sono felici di farlo, al decoro e alla crescita del territorio che visitano. Si fa sempre più strada il concetto di turismo responsabile, ecosostenibile e molto spesso chi viene in un territorio protetto è anche ben disposto a contribuire. Bisogna valutare attentamente gli strumenti con i quali arrivare all’obiettivo, se mediante la tassa di soggiorno che viene riscossa dal singolo comune o mediante altre forme. Sono delle formule che vanno valutate caso per caso e va valutata l’effettiva ripercussione sui territori. In linea teorica non sono contraria, ma vorrei approfondire il “come”. Tempo fa dall’America mi è stato restituita, tramite posta, una pietra che era stata portava via come souvenir. È stata la testimonianza della sensibilità del visitatore verso il territorio.
Il parco sta ristrutturando alcuni fabbricati per destinarli alla fruizione, come punti base per l’escursionismo o altro. Come si fa ad evitare che un immobile, spesso storico, venga restaurato e, subito dopo, vandalizzato come accaduto tempo fa alla Casemetta di Piano Mirio?
Anche qui niente bacchette magiche né soluzioni univoche. Quel che stiamo facendo è avviare, insieme ai progetti di ristrutturazione, i bandi per l’affidamento in gestione a cooperative giovanili, ad associazioni di volontariato ambientale e a quei soggetti che hanno un legame con il territorio. Non ci interessa l’imprenditore turistico, ma quel soggetto che ami quel territorio e che, di quel punto, ne vuol fare un fulcro in cui far nascere una sensibilità ambientale diversa.
Nelle scorse settimane, dopo alcuni incresciosi accadimenti che hanno a che fare con il principio di civiltà, ma anche con la delinquenza ordinaria, e che non riguardano di certo solo il parco, lei ha scritto una lettera aperta nella quale, sottolineando che il parco deve salvaguardare e difendere l’area protetta, ha detto che l’ente non ha guardiaparco, che il corpo forestale ha pochi mezzi e forse troppi distaccamenti e che il sistema, in generale, non funziona. Il cittadino che ama la natura, dinanzi a questo scenario si sente avvilito e impotente. Qual è, secondo lei, la soluzione contro l’inciviltà nel territorio del Parco dell’Etna?
Intanto non c’è una soluzione ma delle soluzioni. Bisogna iniziare ad agire con una serie di azioni che camminano su percorsi diversi, ma che convergono tutte verso un unico risultato che è quello di proteggere in maniera più consapevole e autentica il territorio del Parco dell’Etna. Da un lato il cammino delle sanzioni nei confronti di coloro che trasgrediscono le regole che non sono soltanto quelle di convivenza civile, ma anche quelle che producono effetti sotto l’aspetto penale, amministrativo e civile. È importante che il Corpo Forestale agisca con attività di repressione più puntuale e più forte nei confronti di chi trasgredisce queste regole. Dall’altro lato bisogna mettere in campo quelle attività che possano far aumentare la consapevolezza del patrimonio, e mi riferisco ad attività di educazione ambientale, sensibilizzazione nelle scuole e nella popolazione, culturali, idonee a far accrescere la consapevolezza e l’importanza di questo patrimonio.
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Villa Manganelli e Grande Albergo Del Parco. Parli lei.
Si tratta di due beni acquisiti, negli anni scorsi e prima della mia gestione, al patrimonio dell’ente. È stato avviato un processo con l’Agenzia del Demanio per il loro inserimento in progetti di recupero con l’interesse di soggetti del territorio. Villa Manganelli è stata inserita in un ulteriore progetto finanziato dalla “Fondazione con il Sud”, che metterà a disposizione la somma di 500 mila euro per il recupero e l’avvio di alcune startup di impresa.
Per il Grande Albergo la nuova amministrazione comunale di Ragalna ha mostrato un interesse, anche mediante una forma di intervento economico per la ristrutturazione dell’immobile. Il bene è stato deteriorato dall’ultima gestione e occorre un intervento strutturale notevole. Si può anche mettere a bando attraverso un progetto di finanza per privati investitori.
Capitolo associazioni ambientaliste. All’inizio del suo mandato lei ha detto che voleva assegnare alle associazioni “pezzi” di territorio. È un’attività già iniziata?
Esistono molti progetti che sono partiti proprio da quella idea e cioè che ciascuna associazione si intesti un progetto, e una parte di territorio, e lo curi. Alcune associazioni hanno fatto un percorso ancora più completo presentando al parco propri percorsi naturalistici, come ha fatto l’Associazione “Etnaviva” che ha redatto un progetto per il “Sentiero delle ginestre”. Altre, come “Etna Re”, hanno presentato progetti a partire dai punti base per l’escursionismo; altre ancora hanno presentato progetti per ristrutturare dei sentieri, ottenendo anche i finanziamenti dall’Assessorato Regionale al Turismo, legati a tematiche particolari, come “l’Etna dei romantici”. Il percorso, in questa direzione, è avviato.
La cartellonistica nel territorio, soprattutto quella dei sentieri, è carente. Come intende sopperire?
Il Consiglio del Parco ha compiuto una scelta precisa. Non avendo fondi, né finanziamenti, ha convertito parte delle somme che provengono dalle sanzioni in un progetto di 130 mila euro abbastanza esteso, destinato alla cartellonistica. Il bando di gara è già stato espletato.
Qualcuno, di recente, ha definito il Parco dell’Etna l’ennesimo “carrozzone”. Ci si lamenta del fatto che è un luogo dove si produce carta e non occasioni di fruibilità. Vuol dirci cosa è per lei, che ci vive ogni giorno, la struttura del Parco dell’Etna?
Intanto devo dire che il parco ha delle eccellenti professionalità. È un bellissimo progetto realizzato solo parzialmente e quando i progetti si realizzano solo parzialmente possono diventare degli ecomostri. Di contro, se completati, mostrano il valore aggiunto che possono dare al territorio. Questo è quel che è avvenuto al Parco dell’Etna, dove sono state assunte eccellenti professionalità, le stesse che hanno mandato avanti l’ente e ottenuto il riconoscimento UNESCO a costo zero. Ci tengo che venga sottolineato: a costo zero! Per altre realtà, invece, è stato necessario l’intervento di diversi consulenti: scienziati e studiosi che ne dimostrassero le caratteristiche. Le Dolomiti, ad esempio, hanno sostenuto un costo di 250 mila euro.
Nel Parco dell’Etna sono stati assunti dirigenti e dipendenti per concorso, e varie funzioni, ma non sono stati assunti i guardiaparco. E non è una mancanza da poco. Un territorio che non ha un adeguato controllo, demandato peraltro ad un ente come il Corpo Forestale, che ha una guida diversa e on la quale non vi è una forma di collaborazione, è evidente che mostra tutte le sue crepe e le sue difficoltà. L’obiettivo è, adesso, quello di completare il progetto originario del parco.
Capitolo rifiuti, una delle note dolenti su cui si concentrano le critiche. Qual è la strategia per superare una volta per tutte la questione?
Quel che non funziona all’interno del territorio del Parco dell’Etna è quel che non funziona nel sistema rifiuti della Regione Siciliana. Non è un problema collegato al parco, anche se crea più scandalo in un territorio protetto, che rientra in un sito Patrimonio dell’Umanità, rispetto al resto del territorio siciliano. Non è un problema che si risolve all’interno del Parco dell’Etna, ma è un problema che si risolve nel potenziamento e in una maggiore efficacia del sistema di raccolta e smaltimento rifiuti a livello regionale.
Il parco non ha competenza in merito ai rifiuti. Ha competenze di coordinamento delle attività delle amministrazioni comunali che insistono nel suo territorio e mi riferisco ai venti comuni, ma anche alla provincia, con i quali abbiamo più volte affrontato la tematica rifiuti. È un momento di transizione, si stanno approvando gli ARO (Ambiti Raccolta Rifiuti, n.d.r.) per ciascun territorio comunale e alcuni lo stanno facendo molto opportunamente mettendosi insieme. Quel che raccomando ai comuni del Parco dell’Etna è di non dimenticare che il sistema della raccolta e dello smaltimento rifiuti deve tener conto non solo della parte urbanizzata, ma anche del grande territorio protetto e che il sistema rifiuti deve rivolgersi anche ad esso.
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Qual è la sua posizione sulla fruizione della vetta che, attualmente, non è libera anche nel periodo in cui non vi è attività?
Come ho sempre affermato, da cittadina dell’Etna e da cittadina italiana che rispetta e ama la propria Costituzione, non amo le limitazioni che riguardano parte del nostro territorio. A nessuno verrebbe in mente di porre delle limitazioni alle quote più profonde degli abissi marini, o alle quote più alte delle Alpi. Il fatto che questo approccio lo si abbia sull’Etna, o sui vulcani attivi giustificandolo col pericolo, io credo sia una interpretazione non corretta del ruolo che ciascuno di noi dovrà svolgere su questo vulcano.
Non nascondo che c’è pure un grande problema. L’Etna è una montagna che comporta dei rischi e dei pericoli per chi fa visite in vetta e credo sia opportuno incrementare l’informazione per chi vuol visitare le quote sommitali, e che la gente visiti in sicurezza con guide esperte. Sono regole di buonsenso.
Dunque, superare i divieti?
Io ritengo di sì. Si è giunti a questa situazione quando si sono esasperate le procedure di sicurezza legate alla Protezione Civile, che per un ventennio hanno accompagnato il territorio dell’Etna, ma anche il territorio italiano, esasperando le responsabilità di taluni soggetti per fatti che sono imprevedibili perché legati alla natura. Ciò ha prodotto provvedimenti che non è detto siano corretti alla luce della Costituzione.
Etnalife ha pubblicato, di recente, un testo di Arcangelo Signorello intitolato “Diversamente speleo” sulle visite in grotta, grazie al CAI di Catania, delle persone disabili. Il Parco dell’Etna ha allestito, negli scorsi anni, il Sentiero Natura del Lago Gurrida rendendolo fruibile alle persone con disabilità. La stessa sede del Parco dell’Etna è accessibile a disabili, ipovedenti e non vedenti. È ipotizzabile, ovviamente nei limiti del possibile, attrezzare per le persone diversamente abili altri sentieri per consentire una piena fruizione del territorio dell’Etna?
Io credo fortemente nel valore terapeutico che la natura ha sull’animo umano e in maniera particolare sulle persone che hanno difficoltà. È un diritto di tutti, ma anche e soprattutto di chi ha disabilità motorie o di altro tipo, fruire del territorio. Nei limiti in cui è possibile farlo ci impegneremo ancor di più per rendere accessibile la nostra montagna a tutti, perché credo sia un diritto di tutti poter fruire della bellezza del creato.