Io so com’era prima, questa valle. Il sentiero che saliva da Zafferana, il Salto della Giumenta e l’infinito cammino nel grembo della Montagna fino al vecchio Rifugio Menza.
“Sette chilometri in fondo, il cielo è scuro: scende precipitando di mille metri in risicato spazio dalle quote sommitali. E’ scuro, perché nella fretta di arrivare in questo posto unico, il cielo ha inciampato nella terra nuova in alto, cadendo insieme in una forma in cui non cresce niente. Non una radice, che si attaccherebbe all’aria. Non una foglia, che dall’aria verrebbe spazzata. Non passano le bestie di terra, che sarebbe per loro come arrampicarsi in aria o, in discesa, come precipitare nell’aria. Questi canaloni di cielo caduto con la terra sono percorsi solo dagli uomini che vogliono volare nella terra, con gli sci o a piedi. Uomini spostati verso la follia, che non sanno stare fermi né in cielo né in terra”.
Non l’ho scritta io questa cifra, ma uno di quei chistiani spostati verso la follia, con gli sci, o a piedi, o con la penna. Quei chistiani che mi assomigliano. Non star fermi è l’unico modo di danzare nello spazio al ritmo del cambiamento di questa terra, e percepirne la grazia dopo non poterne più di tanta bellezza. Balzando su queste cime di contorno, io vedo questa lava che ha ucciso diventare l’unica promessa per una vita nuova. E la morte mi appare necessaria, per insistere a volerne ancora, di vita.