Quando vedo certi chistiani, io mi commuovo ancora. Nonostante il mio ritiro, l’aver voluto cambiare aspetto, l’esser vissuto tante volte e riprovato a viverne altrettante, nonostante non abbia un chistiano amico, e nessun altro sugghiu con cui ritrovarmi, l’altro giorno il mio respiro ha tremato. Ho visto un ragazzo iniziare a correre e salire su, oltre il paese, le vigne di periferia e i boschi. Oltre le giovani sciare e le bocche della terra, lui è salito ancora, mettendosi una giacchetta sopra e aiutandosi con due bastoncini. E’ salito nel vento, sulla neve, quasi arrampicandosi sul costone della Montagna che guarda a nord, sotto un Sole che ha illuminato tutta la sua imperterrita corsa. Ho visto persone che lo incitavano, lo accompagnavano per brevi tratti, ho visto pure altre persone che non si rendevano conto che quel ragazzo stava correndo per assecondare la propria passione alla vita, verso la prima forma di terra che ha dato origine alla vita: la bocca del vulcano. Quella più in alto, quella più vicino al cielo, che lo sorregge e lo spruzza di vita, perché il cielo stesso possa ispirare meglio i pensieri degli altri.
Ho visto quel ragazzo secco correre fino in cima, dove il gelo e l’emozione gli hanno imposto il silenzio nell’impossibilità di articolare una parola – se le parole mai servissero a vivere con più intensità. E ho chiesto al vento il favore di abbracciarlo, quel ragazzo.
Poi ho visto anche quello che non si vedeva: gli uomini in uniforme armata che non c’erano, e in questa scelta meravigliosa, sono diventati chistiani in uniforme amata. Perché avrebbero dovuto fermare quel ragazzo che correva verso la cima della Montagna, e dichiarare la sua corsa fuorilegge e sanzionarlo e farlo giudicare secondo un reato da codice penale. Secondo la legge degli uomini, approvata da altri uomini, che sono talmente lontani da se stessi da farmi pena.
Svegliatevi, ragazzi. E correte. Correte tutti insieme a riprendervi la vostra terra.