Sergio Mangiameli è del ’64, geologo, giornalista pubblicista, interprete naturalistico, vive sull’Etna. Ha pubblicato i racconti “Dall’ulivo alla luna” (Prova d’Autore, 1996) e “Rua di Mezzo sessantasei” (Il Filo, 2008), i romanzi “Aspettando la prima neve” (Rune, 2009), “Dietro a una piuma bianca” (Puntoacapo, 2010), “Sul bordo” (Puntoacapo, 2013), “Come la terra” (Villaggio Maori, 2015, che ha partecipato a MontagnaLibri 2016 del Trento Film Festival), “Quasi inverno” (A&B Editrice, 2018), "La nevicata perfetta" (A&B Editrice, 2020).
Ha scritto i testi di “MicroNaturArt – voci dal microcosmo” (Arianna, 2014), esperimento letterario di fotografia scientifica; i racconti di “Ventiquattr’ore – fotografie di finestre e parole intorno” (Puntoacapo, 2016), i cui scatti sono di Lino Cirrincione; e, assieme al vulcanologo Salvo Caffo, “Etna patrimonio dell’umanità, manuale raccontato di vulcanologia e itinerari” (Giuseppe Maimone Editore, 2016), con le illustrazioni di Riccardo La Spina.
Ha scritto i testi dei film corti “La corsa mia” e “Idda”, e i monologhi “Questa storia” e “Il gioco infinito”, visibili entrambi su YouTube. Sul portale web Etnalife, scrive racconti etnei per la rubrica letteraria “Storie dell’altro mondo”. “La piuma bianca” è il suo blog sul magazine online SicilyMag. L’esperimento nuovo è “Le colate raccontate” – vulcanologia storica dell’Etna e narrativa surreale insieme, tra esattezza scientifica e finzione letteraria in racconti –, portato in scena col vulcanologo Stefano Branca.
Era un pomeriggio lentissimo di metà aprile di tanto tempo fa, quando a Delfo si ruppe il filo di pazienza che lo teneva ancora fermo a pancia in giù sulla terra, a tirare…
Le strade di questo mondo finivano. Erano molti i punti di stacco tra l’asfalto e la terra del bosco, o la sciara subito – qualcosa che spalancava un pensiero di libertà e di scelta. Irresistibile per ogni ragazzo, soprattutto se…
Sai che ti dico? Che Facebook, qui sull’Etna, l’avevamo prima che arrivasse nelle città. E ti dico di più: nei paesini, Facebook viene ancora oggi vissuto fisicamente…
La prima volta che lo incontrai, avevo sei anni e mezzo, e m’impressionò. Aveva finito di compiere una manovra perfetta in retromarcia con la sua Ape C, dopo aver preso la rincorsa per la salita di casa…
In queste sere d’inverno, a volte il mio pensiero va a cercare i contorni e i suoni di una figura d’uomo – chiamiamolo Alfio – , che ho conosciuto per trent’anni. Alfio aveva una di quelle voci che oggi non si trovano più. Non c’era uno stacco tra il silenzio e le sue parole, e quando finiva di parlare, era come se…
Lui si fermò, capì che non lo stavo seguendo. Si tolse il fucile dalla spalla e si voltò. Il tono era diverso, non minacciava più ma era ancora molto arrabbiato.
«Io aspetto una settimana per andare a caccia, per sparare ai conigli. Secondo te, che stavamo a fare lì, accovacciati in silenzio? Cosa aspettavamo? Su, cosa aspettavamo?!».
Stavo zitto.
Prima parte (Racconto tratto da “Rua di Mezzo Sessantasei” – Il Filo ed.). Papà andava a caccia. Si svegliava presto, prendeva fucile, coppola e munizioni e usciva direttamente a piedi. Attorno a Rua di Mezzo sessantasei, c’erano ancora i vigneti, i boschetti e le radure.
C’erano due strisce di basolato lavico che arrivavano alla masseria Tardaria, l’ultima comunità prima dei boschi di castagni, che risalivano fino a Monte Po, a Passo Cannelli e al Salto del Cane. Per l’autobus era il capolinea, faceva scendere le persone e compiva la manovra.