STORIE
DELL'ALTRO MONDO
Vai alla lettura Di Sergio Mangiameli foto ©Roberta Scicali

Come fosse il cielo

Le strade di questo mondo finivano. Erano molti i punti di stacco tra l’asfalto e la terra del bosco, o la sciara subito – qualcosa che spalancava un pensiero di libertà e di scelta. Irresistibile per ogni ragazzo, soprattutto se emigrante dal cemento definito della città.
Così la piccola banda di tredicenni in sella alle bici senza rapporti, risaliva tornanti silenziosi e ombreggiati da cupole di enormi castagni, si fermava a rinfrescarsi agli abbeveratoi, colmi sempre di acqua limpida e dolce, e si rimetteva a pedalare nella fatica comune, con l’emozione precisa di sentire avvicinarsi sempre più quel bordo d’asfalto. Anzi, la terra grezza, quasi fosse una promessa.

La nostra era alla fine di una pettata, dopo aver certamente visto almeno un ramarro attraversarci senza fretta la strada, o un biacco scansarsi lentamente luccicando di nero al Sole, o dopo aver raccolto un aculeo perso da un istrice, che avremmo infilato tra la guaina del freno e il foro del telaio – e che spesso poi avremmo perduto in discesa.
Nessuno, nessuno di noi è mai arrivato in sella al bordo, perché l’ultima parte era quasi una scalata, impossibile per qualsiasi gamba in azione sui pedali di quelle bici inadatte. Ma questo aumentava il senso del rito, il valore aggiunto di conquista nella fatica. La terra come cima, come estremo regalo. Quasi come fosse il cielo.

Lasciavamo cadere le bici e ci stendevamo sul cielo, scaricandogli tutta la nostra stanchezza, che lui, dopo un tempo necessario e incalcolabile, trasformava in appagamento. Non ci importava più spingerci oltre: il cielo era stato preso, la sua essenza toccata, il suo odore respirato, il suo colore attaccato ai nostri jeans, sotto le nostre unghie.

Poi qualcuno si drizzava e senza suono di richiamo guardava gli altri. Pronti?
Pronti!
Lasciavamo il cielo con la montagna alle spalle. Il culo sul sellino e i piedi sui pedali. La discesa era tutta per noi, dipingendo traiettorie perfette come un volo dell’anima, nella sospensione di un’attesa che la natura ci offriva intorno, fino alla fine. E che noi ragazzini esaltati da tanta, indimenticabile bellezza, ricambiavamo d’un tratto urlando di passione.

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Sergio Mangiameli è del ’64, geologo, giornalista pubblicista, interprete naturalistico, vive sull’Etna. Ha pubblicato i racconti “Dall’ulivo alla luna” (Prova d’Autore, 1996) e “Rua di Mezzo sessantasei” (Il Filo, 2008), i romanzi “Aspettando la prima neve” (Rune, 2009), “Dietro a una piuma bianca” (Puntoacapo, 2010), “Sul bordo” (Puntoacapo, 2013), “Come la terra” (Villaggio Maori, 2015, che ha partecipato a MontagnaLibri 2016 del Trento Film Festival), “Quasi inverno” (A&B Editrice, 2018), "La nevicata perfetta" (A&B Editrice, 2020). Ha scritto i testi di “MicroNaturArt – voci dal microcosmo” (Arianna, 2014), esperimento letterario di fotografia scientifica; i racconti di “Ventiquattr’ore – fotografie di finestre e parole intorno” (Puntoacapo, 2016), i cui scatti sono di Lino Cirrincione; e, assieme al vulcanologo Salvo Caffo, “Etna patrimonio dell’umanità, manuale raccontato di vulcanologia e itinerari” (Giuseppe Maimone Editore, 2016), con le illustrazioni di Riccardo La Spina. Ha scritto i testi dei film corti “La corsa mia” e “Idda”, e i monologhi “Questa storia” e “Il gioco infinito”, visibili entrambi su YouTube. Sul portale web Etnalife, scrive racconti etnei per la rubrica letteraria “Storie dell’altro mondo”. “La piuma bianca” è il suo blog sul magazine online SicilyMag. L’esperimento nuovo è “Le colate raccontate” – vulcanologia storica dell’Etna e narrativa surreale insieme, tra esattezza scientifica e finzione letteraria in racconti –, portato in scena col vulcanologo Stefano Branca.
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