Ciro taglia i capelli a un euro al minuto. Non c’è tempo superiore ai cinque minuti per tutti, e così nessuno fa la fila, nel suo salone d’epoca, con il lambrì ai muri e il divano foderato in finta pelle. Le poltrone si specchiano nell’eternità immobile, un fermo immagine che è iniziato cinquant’anni fa.
Fuori, il basolato del centro storico è ancora più vecchio: le mura dei palazzi nobiliari fanno da cornice solenne ai crateri distanti, scuri, che s’arrampicano a gara scomposta nell’azzurro, lasciando al vento continue tracce gassose bianche, testimoni effimeri di questo pensiero chiaro di verticale avanzata.
Ciro mantiene sé stesso come il suo salone da barba: efficiente. Ha l’eleganza silenziosa dei signori, che non calpestano mai i limiti. E uno sguardo pratico, di chi ha fatto barba e capelli al mondo, e l’ha compreso. E proprio per questa ragione, come i migliori osservatori elusivi, lui non compare al fisco predatore. Non c’è, ma esiste. Non rilascia scontrini, ma sorrisi definiti e strette di mano.
Ora, in questo tempo sospeso per tutti, dove si fanno i conti nella propria lista dei valori, Ciro ha chiuso. Come se prima, invece, fosse stato.
Non gliel’ha detto nessuno, imposto nessun ordine, perché lui non compare. Eppure l’ha sentito, di esser uomo tra gli uomini. Come sempre. Mentre la montagna, in fondo alla strada, sembra approvare la stessa voglia di avanzata verticale di Ciro, che stavolta, però, non misura il tempo e aspetta.