Sin dalla notte dei tempi l’incessante attività vulcanica ha imposto al paesaggio dell’Etna un mutamento continuo. Le diverse specie vegetali, generazione dopo generazione, si sono adattate alle condizioni dell’ambiente etneo nel quale la vita e la morte si alternano in un’altalena continua. I pregi maggiori della vegetazione sono da ricercare nelle piante endemiche, esclusive dell’Etna, che sono riuscite, meglio di altre, ad adattarsi alle condizioni difficili, se non addirittura estreme, soprattutto dal limite superiore dei boschi sino ai tremila metri di quota, oltre i quali la vita è costretta ad arrendersi alle forze del vulcano.
Il paesaggio vegetale, nei diversi versanti ed alle diverse altitudini, è il risultato di un equilibrio che si è creato fra gli elementi naturali: il vulcano, d’un lato, e la vegetazione, dall’altro. Questo dualismo è facilmente percepibile anche nel corso di semplici escursioni per i boschi, notando la continuità della vegetazione interrotta da lingue nere, o più o meno grigie, di lava raffreddata create dalle eruzioni e sulle quali, inevitabilmente, la vita tornerà a germogliare. Fra i due estremi si collocano le aree intermedie sulle quali la vegetazione ha già iniziato la sua opera colonizzatrice e disgregatrice della roccia, per consentire il futuro insediamento dei boschi, in quel continuo giuoco delle parti. Sull’Etna, alle caratteristiche di area vulcanica, si sommano i fattori climatici e la peculiarità di alta montagna nel cuore del Mediterraneo.
In questo contesto anche l’uomo ha interpretato il suo ruolo, modificando il paesaggio per insediare le colture, operando per secoli in stretta armonia con la natura stessa. Edificando i suoi manufatti ha utilizzato la pietra lavica presente sul suolo, sino a creare opere che sembrano scolpite dal vulcano, come i terrazzamenti sui fianchi dei crateri spenti per l’impianto dei vigneti, i muretti e le costruzioni a secco, le torrette (accumuli di rocce estratte dallo spietramento del terreno, ordinate architettonicamente a piramide) divenute esse stesse motivo di pregio.
Tuttavia, nell’ultimo secolo, le attività umane, in primo luogo l’edilizia speculativa, hanno provocato la quasi totale distruzione del bosco etneo che occupava le pendici medio-basse sino al litorale, ma anche di opere significative della civiltà contadina.
La nascita del Parco dell’Etna, nel 1987, è riuscita ad arginare la devastazione del territorio a e creare i presupposti per uno sviluppo più rispettoso della natura.
Zone altitudinali
Piano Mediterraneo basale 0-1.450 metri s.l.m.
Fino a 500 metri: orizzonte termomediterraneo (euforbia, lentisco, olivastro, colture)
Fino a 1.000 metri: orizzonte mesomediterraneo (leccio)
Fino a 1.450 metri: orizzonte supramediterraneo (querce caducifoglie, castagno)
Piano Montano Mediterraneo 1.450-2.100 metri s.l.m.
Orizzonte inferiore (pino laricio, faggio, betulla dell’Etna)
Orizzonte superiore (astragaleto secondario)
Piano Altomediterraneo 2.100-3.330 metri s.l.m.:
Orizzonte inferiore (vegetazione a pulvini, astragalo) m. 2.100-2.450
Orizzonte superiore (pioniere d’altitudine, romice, camomilla) m. 2.450-2.950
Deserto vulcanico 2.950-3.330 metri s.l.m.
I diversi versanti e le diverse altezze dell’Etna mostrano un contesto vegetazionale alquanto vario. Iniziando la visita dal mare, le aree libere naturali residue sono caratterizzate dalla macchia mediterranea. Un occhio attento può individuare lentisco, olivastro, terebinto e soprattutto l’euforbia arborea che si spinge fino ai 600 metri di quota.
La collina a nord del capoluogo un tempo era dominata da boschi e boscaglie, in mezzo ai quali si sviluppavano i casali dell’Etna, poi divenuti comuni e frazioni, intorno ai quali l’uomo sottraeva ai boschi le aree da coltivare. Questi territori a ridosso del capoluogo formano, oggi, insieme alla città, un grande agglomerato urbano senza soluzione di continuità, in quel comprensorio denominato area metropolitana, che è molto cambiato rispetto ai tempi in cui l’agricoltura era un settore trainante dell’economia etnea. Le aree poco urbanizzate delle pendici più basse, continuano ad ospitare colture e attività umane.
Nelle aree collinari le colture occupano la fascia d’altitudine dove s’insediava il leccio. Nei versanti sud-occidentale e jonico, si ritrovano gli agrumi. Le colline ospitano i vigneti; caratteristica dell’Etna sono i vitigni terrazzati sui fianchi delle bocche spente. Nella stessa fascia, anche associati alla vite, si ritrovano ulivi e mandorli. In territorio di Bronte, nel versante occidentale, il pistacchio (un’eccellenza della gastronomia) occupa vaste distese. Nel versante est e nord-est s’insedia il nocciolo che preferisce ambienti più umidi.
Una pianta che contraddistingue e profuma il paesaggio in tutti i versanti, dal mare ai duemila metri d’altitudine, è la ginestra che, da maggio a luglio, colora di giallo gli incolti con due specie: la ginestra comune e la ginestra dell’Etna (endemica ma non esclusiva del vulcano). La prima si distingue per i rami più spessi ed i fiori più grandi. Solitamente alla ginestra si accompagna la valeriana rossa, inconfondibile col suo pennacchio di fiori fucsia anche nei territori della collina su lave relativamente recenti, come quelle del 1669.
Procedendo verso l’alto, sino a 1.400-1.500 metri, in tutti i versanti fioriscono e fruttificano peri e meli, alternati a castagneti e boschi naturali. Queste colture hanno sostituito le foreste di roverella. Fra gli ambienti colturali tipicamente etnei, meritano di essere citate le “chiuse”, terreni lavici scoscesi nei quali l’uomo, accanto ad elementi della vegetazione naturale quali leccio, roverella, terebinto, olivastro, alaterno, bagolaro, ha impiantato mandorli, ulivi, ficodindia, pistacchio.
Oltre l’area urbana e la collina occupata da paesi e colture, si entra nella fascia dei boschi che occupano, in genere, lo spazio fino a 1.800-2.000 metri s.l.m.
Boschi
Castagno. I boschi di castagno sono presenti in tutti i versanti del vulcano, dove colonizzano i terreni più antichi, fra i 300 ed i 1.700 metri sul livello del mare. A favorirne la diffusione per la commercializzazione delle castagne è stato l’uomo. L’antica presenza sull’Etna è testimoniata da un esemplare millenario come il Castagno dei Cento Cavalli nel territorio di Sant’Alfio.
Leccio. I boschi di leccio (elemento tipico della macchia mediterranea), che un tempo dominavano la collina (il piano basale), sono stati in gran parte sacrificati dall’espandersi delle aree urbane e dalle coltivazioni. La presenza del leccio in quest’area è rappresentata solo da pochi frammenti in zone marginali poco sfruttabili dall’agricoltura, in cui si ritrovano anche roverella e ginestra. La grande capacità di adattamento ne permette l’insediamento anche a quote più alte sino a 1.400 metri di quota, con massimi riscontrati a 1.600. È sempreverde ed ha una tonalità verde cupa. In territorio di Zafferana Etnea, a Caselle, si trova “l’Ilice di Carrinu”, un maestoso esemplare plurisecolare.
Querce caducifoglie. Le querce caducifoglie sono presenti fra i 100 e i 1.500-1.700 metri s.l.m., con diverse specie, fra cui spiccano roverella e cerro. Di colore verde gaio in estate, si tingono delle classiche tonalità in autunno e si spogliano in inverno. Di rilievo il bosco di contrada Giarrita, o Cerrita, nel territorio di Sant’Alfio.
Pino laricio. Presente fra i 1.000 ed i 1.900 metri, il pino laricio svolge una insostituibile funzione disgregatrice del substrato lavico, che ricopre con funzione pioniera. Sulle lave recenti si individua in forma isolata, mentre su quelle più antiche forma boschi estesi.
In talune aree non più adatte alla roverella e sfavorevoli al faggio, è l’unica specie che costituisce il bosco, assumendo un ruolo paesaggistico ed ecologico essenziale.
Il suo colore è verde cupo in tutte le stagioni. Di rilievo le pinete di Serra la Nave nel versante sud e Ragabo (o di Linguaglossa) nel versante nord, dove si trova il pino più grande dell’Etna detto “zappinazzu” (“zappinu” è il nome siciliano del pino laricio), alto trenta metri e con una circonferenza di cinque.
Faggio. I boschi di faggio si ritrovano nella fascia forestale più alta, soprattutto rivolta a nord, spesso all’interno di dagale, isole di vegetazione attorniate, ma risparmiate, dalle colate laviche, fino a 1.800-2.000 metri d’altitudine.
Nel versante nord-ovest, in una dagala a valle di Punta Lucia, il faggio si spinge in forma nana sino a 2.200 2.250 metri. Si tratta dei maggiori livelli altitudinali che la specie raggiunge in tutto il continente europeo. Sull’Etna, il faggio ha il suo limite meridionale.
Nel periodo caldo ha una coloratura verde che s’infiamma di rosso-bruno in autunno.
Pioppo tremulo. Il pioppo tremulo è presente in boschetti isolati nelle zone di nord e nord-ovest, specie insieme al faggio o al pino laricio. In genere s’insedia fra 600 e 1.800 metri s.l.m. con massimo altitudinale intorno a 2.300. È distinguibile dal caratteristico tremolio delle foglie.
Betulla dell’Etna. La betulla dell’Etna è considerata una pianta endemica. Presente soprattutto nel versante orientale del vulcano, ma si ritrova anche in quelli nord e ovest, ha una tale eleganza da non passare inosservata. È caratterizzata dal tronco bianco e può raggiungere anche i quindici metri di altezza. Si ritrova dai 1.300 ai 1.900 metri di quota con presenza anche a 2.100 metri al limite dei boschi e può resistere a caldo e a freddo estremi e per questo colonizza ambienti preclusi ad altre specie.
Passeggiando per i boschi dell’Etna, fra le piante e le piantine che è più facile osservare, ricordiamo lo zafferano autunnale, soprattutto nei boschi di castagno; il ciclamino, fra 200 e 1.400 metri s.l.m., dal caratteristico fiore violaceo; la felce che forma densi popolamenti; la ferula, nei terreni incolti, in collina, ai margini dei boschi sino a 1.300 metri; la rosa canina nelle aree cespugliose, nelle boscaglie fino a 1.750 metri, che fiorisce in primavera da aprile a giugno; mentre, fra i 300 ed i 1.300 metri, nelle boscaglie, nei boschi radi, nelle aree erbose si sparge l’intenso profumo di dell’origano che, essiccato, si vende negli angoli delle strade dei paesini pedemontani.
I funghi dell’Etna
Discorso a sé meritano i funghi dell’Etna, presenti con tante specie e generi, tossici e mangerecci. Sapori e profumi che li caratterizzano derivano dallo sviluppo in simbiosi con alcune piante dalle quali traggono gusto e aroma: la resina del pino, la dolcezza del castagno, il profumo speziato del faggio, le essenze delle erbe del sottobosco della quercia.
Alcune specie sono particolarmente interessanti per la rarità nel territorio etneo; altre per la simbiosi con alcune specie endemiche; altre ancora per il particolare habitat. Fra le diverse qualità un fungo è considerato il re: il porcino dell’Etna, dal gusto e dal profumo incomparabile, vera delizia dei percorsi gastronomici. La raccolta dei funghi è regolata all’interno del territorio del parco e può avvenire solo dopo il conseguimento di un tesserino regionale.
Vegetazione pulviniforme d’alta montagna
Oltre l’area a vocazione forestale, 1.800-2.000 metri d’altitudine, si trova la zona definita scoperta o deserta. I boschi si diradano sino a scomparire del tutto, si ritrova solo qualche esemplare in forma nana e il terreno è conquistato della vegetazione pulviniforme dell’alta montagna etnea.
In questa fascia una specie domina su tutte: l’astragalo siculo, detto spino santo o spina santa, dalle spine che lo caratterizzano, che si è ben adattato alle severe condizioni sino a divenire una delle singolarità dell’Etna, poiché non ha similitudini nel resto del mondo. Questa pianta endemica si presenta a forma di grossi cuscini (detti pulvini) spinosi, alti 30-50 centimetri con un diametro di 1-2 metri, che conferiscono un carattere di unicità al paesaggio ed offrono riparo ad altre specie vegetali (fra cui viola, cerastio, camomilla dell’Etna, senecio) che, difendendosi fra i suoi rami, riescono ad opporsi meglio alle rigidi condizioni climatiche. Le robuste radici stabilizzano, inoltre, le distese di ceneri e lapilli rendendole meno esposte all’erosione.
Sui terreni caratterizzati da sabbie e lapilli non passa inosservata la saponaria sicula, dal fiore estivo rosa intenso, che colonizza le distese nere con pulvini larghi quindici/venti centimetri. È frequente fra i 1.700 e 2.200 metri e dona, spesso, pennellate di colore ai pendii delle bocche spente. Il nome deriva dalla saponina contenuta dalle radici, usata anticamente come detersivo naturale.
Altra pianta che caratterizza il paesaggio, fra i mille ed i 2.400 metri sul livello del mare, è il tanaceto dal fiore giallo estivo e dal profumo intenso. Un tempo veniva utilizzato per estrarre un liquore detto “donna vita”. Il nome, d’origine greca, significa immortalità, poiché si riteneva che l’infuso desse la vita eterna.
Fra le altre specie presenti in questa fascia altitudinale si possono riconoscere il ginepro emisferico (arbusto nano), il crespino dell’Etna, la coda di cane dal gambo eretto e con una pannocchia che spiega il curioso nome, il caglio dell’Etna dai fiorellini bianchi spesso riparato nell’astragalo, la cuscuta dai caratteristici fusti a forma di fili intrecciati, il cerastio (endemica dai fiori bianchi), l’endemica viola dell’Etna dal caratteristico fiore da cui origina il nome che germoglia fra aprile e giugno e che, spesso, si ritrova fra i pulvini di astragalo.
Nei pascoli, ma anche nelle radure e nelle pietraie, fino a 2.600 metri, spuntano la festuca dagli steli fini e robusti, e la cespugliosa poa.
Pioniere d’altitudine
Oltre i 2.400-2.500 metri s.l.m., limite climatico dello spino santo, la vegetazione si riduce ancor di più sino a lasciare scoperta la sommità del vulcano, che si presenta “nuda”e dominata da rocce e da distese di cenere e lapilli. È l’area delle cosiddette “pioniere d’altitudine”, le sole a far germogliare i propri rametti, poche specie talmente adattate all’ambiente dell’alta montagna etnea da essere divenute endemiche ed esclusive dell’Etna.
Ma anche queste non riescono a spingersi oltre i tremila, o al massimo 3.050 metri di quota, in quella zona detta di “contesa”, dove la vita vegetale prova a contrastare la normale e violenta vita del vulcano, in cui gli episodi eruttivi sono pressoché continui. Soccomberà, di certo, ma continuerà a germinare e a rilanciare la sua sfida, in un continuo alternarsi di episodi di vita e di morte.
Oltre questo limite la vita vegetale è costretta ad arrendersi: il paesaggio è dominato solo dal deserto vulcanico.
Due sole specie riescono a raggiungere i 3.050 metri sul mare: la camomilla dell’Etna, tenace e caratterizzata dal noto fiore bianco e dall’aspetto cespuglioso; ed il senecio dai fiori gialli.
Fra le pioniere ricordiamo anche il romice dell’Etna, endemica, che colonizza i deserti e le sabbie delle eruzioni recenti. Riesce ad insediarsi anche in collina, sulle aspre lave, ma è frequente dal limite superiore dei boschi. Al ruolo ecologico, svolto dal romice, si somma quello di elemento paesaggistico che colora di rosso le lande vulcaniche.
(Ultimo aggiornamento settembre 2014)