Stanotte ho avuto un incubo. Morivo. C’era una città che funzionava – non in tutto, solo in pochissime voci, come il rispetto delle regole, i servizi e il tipo di vita dei bambini. C’era un tizio sindaco, che era fissato proprio sul sillogismo che se una città va bene a un bambino, va bene a tutti – una follia! C’erano piste ciclabili per davvero, non nelle corsie degli autobus con gli autobus davvero in transito, dove ogni ragazzino poteva pedalare col sorriso per andare a scuola tutte le mattine. C’erano spazi verdi naturali e attrezzati, piste di mountain-bike, di pattinaggio, di basket e di calcetto per ogni quartiere. C’era la biblioteca per ragazzi, con un auditorium per ogni quartiere. C’erano gruppi di maschi e femmine, di bianchi, neri, cristiani e musulmani che facevano teatro insieme, cantavano canzoni scritte da loro stessi su musiche originali. Gli eterosessuali erano accettati dagli omosessuali, e sempre insieme compivano gesti assurdi, come alzare lo sguardo e guardare il tramonto, e dopo, le stelle e i pianeti, e riconoscerli. Nessuno abbandonava rifiuti o distruggeva qualcosa. Nessuno sprecava niente. Tutti avevano cura dell’ambiente intorno, come se gli fosse appartenuto.
E’ stato esattamente lì, nella percezione di un senso di appartenenza alla vita in genere, che non ho sentito più il cuore. Silenzio. Le scaglie si sono dissolte, gli unghioni sfaldati, e il corpo mio del tutto evaporato. Puf… Più che una morte, forse è stata una vera e propria scomparsa. Ancora più terribile, perché di me non ci sarebbe stata nessuna traccia. Nessuna protesta, nessun dolore residuo, nessun urlo confinato quassù. Niente di tutto questo. Solo una società perfetta.