Era un pomeriggio lentissimo di metà aprile di tanto tempo fa, quando a Delfo si ruppe il filo di pazienza che lo teneva ancora fermo a pancia in giù sulla terra, a tirare di fionda alle lucertole.
– Basta! disse.
Si alzò, ripose quelle corna di legno nella tasca dei calzoni – corti, perché i ragazzini come Delfo a quell’epoca li portavano sempre corti, anche in inverno – e guardò la lucertola risparmiata, a godersi il Sole nella vigna. Respirò l’aria che saliva dal mare e che a Trecastagni porta sempre tonnellate di umido e di nebbia facile. Ascoltò poco lontano il rumore dei carretti in salita, immaginò il fiato grave dei muli, il sudore dei cavalli, le dita strette del carrettiere sulle cinghie di cuoio, e con quella pesantezza d’aria sulle cose, immaginò pure lo sporco grasso sui legni delle sponde, sulle tele delle capote dei signori – quell’unto scuro che sembrava sciogliersi con esattezza all’inizio della curva, mischiarsi con le cose per tutta la salita e poi risistemarsi peggio alla fine, su in alto, dove c’era un abbeveratoio che non avrebbe lavato niente, ma solo tolto un po’ di fatica alle bestie. Il grasso sarebbe stato una gorata in più, depositata come un’onda nuova sulle altre, ad alzare il bordo delle cose e anche delle mani.
– Che schifo, però!
– Cosa? – arrivò suo fratello Ciro, di un anno più grande.
– Non potersi lavare le mani, la faccia, per bene prima di entrare in paese.
– Ma come? L’acqua c’è.
– L’acqua non basta e io mi unchiai ‘a minchia (dopo approfondite ricerche, l’espressione usata dai ragazzi dell’epoca, senza genitori presenti, risulta questa) a tirare pietre alle lucertole! Ciro, tu no?
– Mah… – fece il fratello maggiore, raspandosi il cavallo dei calzoni -. Io le tiro macari iè chistiani, i petri.
Delfo sospirò.
– Così non si fanno i soldi! disse.
Ciro lo squadrò con un occhio solo, come se stesse prendendo la mira per uno sputo o per un insulto.
Fu più rapido Delfo.
– Ascolta. Ho un’idea.
Come sempre accade, le idee partono dal basso, da quelle posizioni dove c’è un fritto di necessità e riscatto, insomma quella voglia tesa di essere i primi, che però i primi non hanno. Delfo era secondo a Ciro da quando era nato, ma da quel momento preciso, seppe che non lo sarebbe stato più per tutto il suo tempo a venire.
I due ragazzi si avviarono verso casa con l’espressione certa di chi ha un compito determinato da fare. Il dettaglio era che Ciro stava seguendo Delfo.
Delfo aprì l’anta della dispensa con la rete fina. Non prese il formaggio, ma qualcosa di simile che però profumava di gelsomino.
– Avanti, amuninni… Ma che fai?
– Minchia, Ciro. Lo taglio, no? Piccoli pezzi, grandi guadagni.
Ciro non sapeva se dargliela comunque, una pedata nel culo, così per abitudine, oppure no. Si sentiva a una svolta: se avesse lanciato il piede, Delfo avrebbe risposto e se le sarebbero date fino al sangue, e l’idea sarebbe finita prima di iniziare. Un prurito strano di curiosità divenne più ingombrante della difesa dell’onore in bilico di primogenitura.
Lasciarono la casa, attraversarono la campagna e sbucarono sulla strada polverosa, piena di sterco, di piscio e di mosche, che le bestie non aspettavano la fine della salita per sgombrarsi intestini e vesciche.
Di corsa, arrivarono all’abbeveratoio e iniziarono subito: una fetta di sapone, cinque soldi. Tovaglia inclusa per le signore, omaggio di Ciro, che gli venne d’un tratto il senso di competizione collaborativa.
Grazie, signori, e benvenuti a Trecastagni!
La prima saponetta finì dopo mezz’ora, e fruttò subito una lira e mezza. Il calcolo fu rapido: in un’ora il doppio, ma con più saponette e mettendo anche altri servizi come il latte di mandorla e biscotti e… I ragazzi Delfo e Ciro Torrisi alla fine del primo mese “accucchiarunu” molto di più di quello che avessero mai potuto immaginare. Il grasso veniva sciolto, i visi e le mani lindi e profumati, la fine della salita di sterco e di piscio lasciava il posto al decoro. A Trecastagni, la puzza non entrava più, nonostante l’aria pesante e la nebbia facile. Le lucertole si moltiplicarono a dismisura nella vigna a lato e le pedate tra i due fratelli scomparvero del tutto. La svolta avvenne per la legge di vita, che premia chi osa credere in se stesso.
Filadelfo e Cirino Torrisi vennero intesi come “i Saponari”, perché divennero abili produttori e venditori di sapone al gelsomino, al tiglio, al limone, alla mandorla. E, da quel momento preciso, la salita, anzi l’acchianata, prese il nome che porta ancora oggi.