E adesso ascoltatemi bene, vi dico io quello che dovete fare. Prendete il vostro cd preferito e nient’altro. Lasciate la macchina fotografica dove si trova, chiudete la porta e mettetevi al volante. Fatelo di mattina presto o dopo pranzo: salite oltre gli ultimi paesi, dopo i cordoni di spazzatura dimenticata, più su degli strali odorosi ancora di umanità urbana.
Adesso accendete la radio e ascoltate la vostra musica perfetta, mentre continuate verso la luce sottile e l’aria leggera. Fatevi ancora quattro curve così, per il gusto, qualche rettilineo solitario che divide la sciara, lasciate scivolare lo sguardo sulle note che volano fuori dal finestrino e osservate, senza pensare, questo autunno.
Sarà questione di poco, e vi fermerete per l’urgenza di toccarlo, annusarlo, infilare gli occhi tra il marrone e il rosso, spalancarli sul giallo, stenderli sul verde. Entrate nel bosco con la luce bassa.
Sedetevi sul materasso di foglie, odorate il profumo e vi stupirete di quanto sia simile alla traccia del vostro pensiero; e le foglie in caduta, quanto siano precise col numero di cose da allontanare.
E ora non perdetevi un passaggio di quello che vi sto per dire.
Abbracciate un faggio, un pioppo o un vecchio castagno, e poi voltatevi e appoggiate la schiena e la nuca al tronco; alzate un braccio e girate la mano col palmo in su. Osservate con attenzione le pieghe della pelle della vostra mano, il loro intreccio, e poi cercatelo uguale tra i rami dell’albero che avete sopra la vostra testa. Quando lo trovate non vi spaventate, non è magia. E’ quel senso di unità che adesso vi appartiene. E che non dimenticherete più, campaste cent’anni. Io sarò a un passo da voi, zitto e fermo con un nodo in gola. Da dietro il tronco, vi guarderò meravigliati, e per me sarà stupendo, esserci così vicino a voi.