Quando ero ancora un chistiano, più o meno convinto come voi, sicuro del mio potere d’acquisto come voi, spavaldo della mia scalata sociale come voi, mi capitava di guardare con attenta curiosità certa gente di montagna. Sapete quei piccoli chistianetti che poi diventano un po’ curvi, un po’ sordi, che stanno al sole a fare asciugare i dolori alle ossa? Ecco, io li osservavo cercando di capire come diavolo facessero ad avere in corpo così tanta calma. I gesti ripetuti senza fretta da decenni, il sorriso leggero come l’aria che tirano dentro.
In loro, non ho mai scorto traccia di fretta, di scontento, quel brusco procedere ad angoli, che noi chistiani di città conosciamo molto bene, come per raddrizzare qualcosa di storto. Solo che noi non arriviamo mai alla linea dritta. Proprio non c’è verso.
Avrei voluto fare cambio, provare nel mio sangue la pace che hanno loro, il vivere facendo un respiro largo. Non ce l’ho mai fatta, neanche adesso che sono Sugghiu, e ho le squame al posto della pelle, perché m’incazzo ancora. La cosa che è cambiata non è l’incazzatura, ma l’oggetto dell’incazzatura. Prima ce l’avevo con me stesso, ora con voi, che non seguite il vostro sogno.
Ci credete se vi dico che l’altro giorno sono finito in un’aula magna di università? Ho ascoltato un piccolo chistiano di enorme cultura, da lontano sembrava come quei chistianetti di montagna: calmo, pacifico, parlava lentamente e si gustava l’attimo. Alla fine, me l’hanno presentato – sissignore, il Sugghiu di fronte a uno dei più grandi registi di oggi, e allora? –, e ho visto un altro chistiano. Irrequieto, non stava fermo, muoveva i polpastrelli, gli occhi mobilissimi, sembrava un ragazzo. Aveva appena finito di dire apertamente quanto fosse “costantemente insoddisfatto”, alla ricerca infinita di una storia da raccontare, da riprendere.
Non ci crederete, ma gli ho fatto gli auguri, e mi è sembrato un chistiano vero, vivo più di tutti i chistianetti calmi e pacifici di montagna. Più di me stesso, forse, che blatero da quassù, orrido come sono.
Sono tornato in quest’inverno sbentato (privo di gas, ndr) sulla neve che sembra zucchero filato, e un pensiero mi frulla in testa. Non è la montagna a far la condizione esatta dell’uomo, ma il suo moto dell’anima. Certo, quassù può venire senz’altro meglio…